sabato 1 dicembre 2012

Insetti impollinatori

E’ giunto il periodo di dare un concreto supporto agli insetti impollinatori (api, api solitarie, bombi, ecc…) per il lavoro che andranno a svolgere nei nostri orti / giardini. Stimolare il loro arrivo è possibile mettendo a disposizione fiori particolarmente graditi, tra cui:
-       Coreopsis
-       Pisello odoroso
-       Facelia
-       Calendula
Fiori reperibili facilmente, sia in busta sementi che in pianta sviluppata da mettere a dimora, presso i garden della zona.
Garantirne poi una  costante presenza è possibile attraverso la preparazione di nidi artificiali (stazioni di impollinazione) che con molta facilità si possono  costruire recuperando materiali di scarto (ceppi di legno, canne di bambù, mattoni forati). Per la costruzione è sufficiente disporre di un trapano elettrico ed una punta per legno o ferro del diametro di 10/12 cm e fare dei fori (vedi le fotografie). Il posizionamento deve essere  a riparo dalle intemperie ed in zona tranquilla onde evitare che siano disturbati.
E’ fondamentale che non vi sia l’utilizzo di fitofarmaci o chimica di sintesi nella coltivazione per evitarne lo sterminio.
Il ritorno e la permanenza degli insetti utili deve essere visto in un’ottica diversa del verde urbano (parchi, orti, giardini) dove all’interno la diversità biologica deve essere viva e si interscambia. Creare ambienti idonei a questi insetti significa disporre di corridoi ecologici che si intrecciano in tutto il verde urbanizzato valorizzando e non eliminando quello che realmente è utile alla nostra nutrizione ed alla nostra permanenza sul pianeta.
Un ottimo supporto didattico e pratico è dato da EUGEA srl (www.eugea.it) azienda commerciale e casa editrice fondata da un gruppo di entomologi dell’Università di Bologna, coordinati dal Prof.Gianumberto Accinelli, che da anni si occupano di insetti utili. Un invito pertanto a visitarne il sito.
Per consultarci in merito: ortidellamartesana@gmail.com
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Animali da cibo

Il rapporto uomini-animali.
Il rapporto di subordinazione dell'animale all'uomo si articola sostanzialmente in cinque modalità: l'alimentazione, l'intrattenimento, la compagnia, il vestiario, la vivisezione. Queste cinque forme d'uso testimoniano il dominio ormai totalitario su queste creature e la loro piena trasformazione da esseri viventi in beni di mercato.
La presente mostra indagherà il primo, e anche più numericamente consistente, settore di sfruttamento: l'allevamento. Attualmente un uomo occidentale consuma in media durante tutta la vita 1.500 animali. Ogni anno vengono macellati 48 miliardi di animali, 131 milioni animali al giorno, 5,5 milioni all'ora, 1500 al secondo.
Per gran parte della loro esistenza gli esseri umani hanno ottenuto cibo sufficiente per la propria sopravvivenza, unendo la caccia di piccoli mammiferi alla raccolta delle specie vegetali e alla carne delle carogne. Con l'avvento dell'agricoltura, avvenuto circa due milioni di anni dopo la comparsa dell'uomo, intorno al 10.000 a.C., si inaugurò un rapporto nuovo tra uomini e animali: la domesticazione. (C. Ponting, Storia verde del mondo, 1992).
Nonostante alcune fonti facciano risalire la domesticazione di specie quali cani e cavalli già al 14.000 a.C. (E. Moriconi, Le fabbriche degli animali, 2001) è la sedentarizzazione dei cacciatori-raccoglitori, seguita alla capacità di sfruttare la terra in maniera sistematica, a segnare il passaggio di diverse specie da selvatiche a affiliate all'uomo. I reperti neolitici forniscono abbondanti prove in questa direzione. Le prime forme di allevamento si registrarono nella Mezzaluna fertile – la regione del Medio Oriente compresa tra Tigri e Eufrate – come la conseguenza di tentativi di cattura e riproduzione in cattività di branchi di pecore e capre selvatiche. (M. Pavanello, Sistemi umani. Profilo di antropologia economica e di ecologia culturale, 1992).
L'allevamento brado a partire dalla preistoria è caratterizzato da spostamenti sistematici di animali e uomini che nelle regioni meridionali e orientali dell'area mediterranea assumono la forma del nomadismo (Nord Africa, Anatolia e Balcani) e in quella settentrionale la forma della transumanza. Le origini di questo fenomeno vanno probabilmente cercate nei movimenti che gli animali compivano fin dal Paleolitico alla ricerca di condizioni ambientali migliori a seconda della stagione. La regolarità del clima e l'alternanza delle stagioni in Italia, in Francia e in Spagna portano i pastori a spostare le proprie greggi in estate dalla pianura alla montagna e in inverno dalla montagna alla pianura. Le testimonianze di questa pratica secolare sono le vie della transumanza ancora ben riconoscibili. (F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, 1976).
Gli animali in stalla.
Il passaggio dal pascolo libero alla vita in stalla prese il via nel Settecento con la rivoluzione agricola e la diffusione della mixed farming. In questo modello di agricoltura mista le piante leguminose, da un lato rendevano naturalmente fertili i terreni e permettevano la “coltura continua”, con l'eliminazione del “riposo”. Dall'altro, essendo ottime foraggere, consentivano anche di allevare il bestiame nelle stalle. Si rompeva così la separazione millenaria tra agricoltura e allevamento. Le stalle e i progressi della scienza veterinaria comportarono un indiscusso miglioramento delle condizioni di vita del bestiame grazie alla diffusione di «un atteggiamento di cura, di protezione, di valorizzazione che di sicuro rappresenta una fase nuova nella lunga storia della domesticazione umana degli animali».  (P. Bevilacqua, La mucca è savia, 2002).
Il limite della stabulazione “naturale” venne superato sul finire dell'Ottocento: le esigenze di una sempre maggiore produzione e i passi in avanti della chimica modificarono in maniera rilevante l'alimentazione degli animali e trasformarono l'allevamento in un ramo dell'economia  tendenzialmente indipendente dall'azienda agricola.


L'allevamento intensivo.
I primi passi dell'allevamento intensivo vennero mossi alla fine degli anni '40 del Novecento negli Stati Uniti (e in particolare nello stato del Kansas) dove si assistette alla costituzione dei primi Feedlots, recinti da ingrasso per il bestiame, conosciuti anche come Confined Animal Feeding Operation. Il sistema fu esportato in Europa a partire dal secondo dopoguerra, e tra il 1950 e la seconda metà degli anni ‘60, anche nel vecchio continente la zootecnia intensiva prese piede. L'impulso principale fu dato dalla graduale trasformazione delle abitudini alimentari occidentali e della crescita del reddito pro capite. Fino agli anni '70 le migliorate condizioni economiche conferirono alla carne – soprattutto bovina e suina – un ruolo di status symbol, in virtù anche del crescente valore alimentare ad essa attribuito. In vent'anni, dal 1950 al 1970, il consumo pro capite annuo è passato da 5.3 kg a 25.2 kg. (M. Pollan, Il dilemma dell'onnivoro, 2008).

Gli ospedali della carne.
Una seconda spinta alla produzione “di massa” di carne fu data dalla evoluzione del settore chimico e della tecnologia farmaceutica: gli antibiotici e diverse tipologie di fitofarmaci, infatti, iniziarono ad essere utilizzati nella zootecnia come stimolanti (favorendo uno sviluppo fisico del bestiame particolarmente rapido) e in risposta alle complicazioni cliniche dei luoghi di allevamento, diventati innaturali e malsani. (R. Bertuletto, Allevamenti intensivi, 1990). Le stalle e i pollai industriali attualmente non costituiscono più dei luoghi di allevamento: sono, di fatto, degli ospedali zootecnici per la produzione di latte e carne su larga scala. Gli animali non sono infatti allevati: più precisamente essi vengono intensivamente ingrassati in una condizione di patologia permanentemente controllata.
Il processo di “taylorizzazione zootecnica”, perseguendo l'ottenimento della massima quantità di prodotto al minimo costo e considerando l'animale semplicemente una «macchina trasformatrice degli alimenti in prodotti utili», ha di fatto compromesso la fondamentale relazione tra animale ed ecosistema e ha permesso un esponenziale incremento produttivo in tempi abbastanza brevi. Nonostante i livelli di produzione raggiunti, paradossalmente gli allevamenti consumano più di quanto producono. Si utilizzano 77 milioni di tonnellate di proteine di origine vegetale che potrebbero essere destinate all’alimentazione umana, mentre ne vengono prodotte, sotto forma di cibo, solo 58 milioni di tonnellate. 36 dei 40 paesi più poveri al mondo esporta verso l’Europa e gli Stati Uniti prodotti agricoli utilizzati come mangimi.
«Nessuna società del passato, per quanto povera e ossessionata dalla fame, era riuscita a immaginare e realizzare l'inferno in cui oggi sono confinati gli animali un tempo detti domestici. Lo fa la nostra: la più ricca e prospera che sia mai apparsa sulla faccia della terra, con uno spirito da società povera, tormentata dall'assillo della fame». (P. Bevilacqua, La mucca è savia, 2002).
La salute degli uomini.
L’allevamento rappresenta il principale settore dell’economia agricola e l’unica fonte di sussistenza per le fasce più povere della popolazione mondiale (pari a 987.000.000 di persone). E’ inoltre determinante per l’alimentazione e la salute dell’uomo. Fornisce, infatti, il 17% dell’energia e il 33% delle proteine assunte. Tuttavia l’accesso ai suoi prodotti non è distribuito equamente: in media un indiano arriva a consumare 5 kg di carne in un anno, mentre uno statunitense ne consuma 123 kg.
Sebbene un moderato aumento del consumo di latte, carne e uova abbia apportato benefici alla salute, com’è accaduto in alcuni paesi come il Kenya, un numero sempre maggiore di disturbi associati al consumo di carne e suoi derivati colpisce fasce sempre più larghe della popolazione mondiale. Fra le patologie più diffuse vi sono malattie cardiovascolari, diabete ed alcuni tipi di cancro. L’insorgere di disturbi generati dal consumo di questi prodotti è dovuto alla presenza di residui chimici (antibiotici, pesticidi, diossina) e di agenti batterici (l'Escherichia coli, la salmonella, il prione della BSE, nota come “malattia della mucca pazza”). I prodotti derivati dagli allevamenti intensivi risultano maggiormente suscettibili ad agenti patogeni trasmissibili all’uomo. Circa il 60% degli agenti patogeni che contagiano l’uomo e il 75% dei disturbi di recente riscontro (influenza aviaria, virus Nipah, Creutzfeldt-Jacob) sono di origine animale. (FAO, Livestock’s long shadow, 2006).


L'impatto sull'ambiente.
La zootecnia, su scala mondiale, contribuisce per l’1,4% al PIL. Ma il suo peso sull'ambiente e sulla salute umana assume ben altre dimensioni
- Riscaldamento globale
Gli allevamenti intensivi sono responsabili del 18% delle emissioni di gas serra misurate in diossido di carbonio (CO2), pari a 7.1 miliardi di tonnellate (più di quanto ne producano i trasporti). Vari gas serra (metano protossido d’azoto, anidride carbonica) vengono prodotti dalla fermentazione dei ruminanti e dalle deiezioni, dalla deforestazione, dalla conversione delle foreste in pascoli o terreni utilizzati a scopo agricolo. Enormi quantità di petrolio sono impiegate per la produzione di granaglie (trattori, produzione di fertilizzanti, pompaggio dell'acqua, trasporti) e per la lavorazione e la distribuzione dei prodotti finiti. Gli allevamenti intensivi generano fino al 68% dell’ammoniaca (NH3, gas inquinante che provoca le piogge acide) prodotta su scala globale (pari a 30 milioni di tonnellate annue).
- Consumo di suolo
L'allevamento è il più grande consumatore di suolo della Terra, includendo i terreni destinati al pascolo e alle coltivazioni di foraggi e mangimi. Le aree coinvolte rappresentano il 70% dei territori agricoli e il 30% della superficie non gelata del pianeta.
- Acqua
Gli allevamenti utilizzano circa l’8% dell’acqua totale usata dall’uomo e la produzione dei mangimi ne disperde fino al 15%. La maggior parte dell’acqua assunta dagli animali viene restituita all’ambiente sotto forma di deiezioni e rifiuti. Le deiezioni contengono elementi trofici (azoto, fosforo, potassio), residui di antibiotici, metalli pesanti e agenti patogeni. Questi elementi, accumulati, inquinano gravemente le falde idriche. Negli Stati Uniti il settore zootecnico è responsabile del 55% dei fenomeni di erosione del suolo e dell'immissione del 65% di sostanze trofiche immesse nei corsi d’acqua dolce. A questi si aggiungono il 37% dei pesticidi e il 50% degli antibiotici usati negli USA.
- Biodiversità
Gli allevamenti contribuiscono alla perdita della biodiversità in ogni sua dimensione: diversità genetica, diversità delle specie e diversità dagli ecosistemi. Il settore zootecnico è causa di distruzione degli habitat naturali, cambiamento climatico, invasioni parassitarie, sovra sfruttamento e inquinamento. La zootecnia oggi impiega il 20% della biomassa animale e occupa il 30% della superficie terrestre un tempo costituita da fauna selvatica. La minaccia dell'inquinamento riguarda ovviamente anche gli ecosistemi marini e la capacità di riproduzione delle specie ittiche.
Si stima che delle 825 ecoregioni terrestri 306 sono minacciate dagli allevamenti, mentre 23 dei 35 “punti caldi” della biodiversità sono gravemente minacciati dalla produzione zootecnica.


Come cambiare? Le possibili alternative.

- Allevamenti biologici
Le norme IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements), che regolano la zootecnia biologica, ripropongono un modello di azienda in cui agricoltura e allevamento convivono e in cui l'animale ha il compito di chiudere il ciclo ecologico. Le linee guida degli allevamenti biologici tengono conto del benessere e delle necessità degli animali. Pertanto sono ammesse solo razze locali; l’alloggiamento deve consentire movimento sufficiente, libero accesso ad acqua e cibo, aria fresca e luce solare, protezione dalle intemperie ed ampie aree di riposo coperte da materiale naturale; la dieta deve essere bilanciata, di buona qualità e non deve prevedere promotori della crescita, appetibilizzanti sintetici, conservanti, coloranti, urea, sottoprodotti animali; in caso di malattia sono ammesse la fitoterapia, l’omeopatia o altre medicine dolci.
Il biologico non risolve del tutto il problema della produzione di gas serra come il metano e l'ossido di azoto derivanti dalle fermentazioni gastroenteriche e dei liquami. La compresenza del settore agricolo e di quello zootecnico permette comunque il contenimento delle emissioni grazie al riciclo delle deiezioni.
- Vegetarianismo e veganesimo etico
Sono due alternative all'alimentazione carnivora, sono stili di vita individuali e «forme di boicottaggio permanente». (P. Singer, Liberazione animale, 2010)
Il vegetarianismo prevede il consumo di proteine vegetali in sostituzione di quelle animali. Fondamenti etici di questa scelta sono l'antispecismo e la non violenza: gli animali sono, similmente all'uomo, esseri senzienti, capaci cioè di provare emozioni quali gioia, dolore. Agli animali dovrebbero essere riconosciuti i diritti alla vita, alla libertà e a non essere torturati.
Il veganesimo etico esclude lo sfruttamento da parte dell’uomo di tutte le specie animali. Garantire uno stile di vita dignitoso agli animali, limitando la loro sofferenza negli allevamenti, rinunciando ad una produzione industriale, non giustifica infatti il loro utilizzo a fini alimentari.
- Consumo critico
Il consumatore critico o consapevole è colui che sceglie di acquistare un prodotto, non solo tenendo conto del prezzo e della qualità, ma anche e soprattutto considerando l'impatto che esso produce sul piano ambientale e sociale. Fondamentale in questo senso diventa la relazione diretta tra produttore e consumatore. Negli ultimi anni si sono affermate alcune forme di consumo consapevole come i gruppi di acquisto solidale (GAS) e il Km0 che promuovono la vendita di carni a filiera corta e prodotte nel rispetto delle condizioni di benessere degli animali e dei lavoratori. (L. Valera, GAS gruppi di acquisto solidali, 2005). A sostegno dei piccoli allevatori e per salvaguardare la loro eccellenza gastronomica dal 1999 il progetto Presidi di Slow Food tenta di recuperare non solo prodotti finali alimentari rari e di qualità, ma anche materie prime, tecniche di lavorazione e conoscenze tradizionali. (C. Petrini, Slow Food. Le ragioni del gusto, 2003)


Aforismi:
Amici miei, evitate di corrompere il vostro corpo con cibi impuri; ci sono i campi di frumento, mele così abbondanti da piegare i rami degli alberi, uva che riempie le vigne, erbe gustose e verdure da cuocere; ci sono il latte e il miele odoroso di timo; la terra offre una gran quantità di ricchezze, di alimenti puri, che non provocano spargimento di sangue né morte. Solo gli animali soddisfano la loro fame con la carne, e neppure tutti: infatti cavalli, bovini e ovini si nutrono di erba.
Pitagora
La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.
Gandhi
Verrà il tempo in cui l'uomo non dovrà più uccidere per mangiare, ed anche l'uccisione di un solo animale sarà considerato un grave delitto...
Leonardo Da Vinci
L'uomo è un animale addomesticato che per secoli ha comandato sugli altri animali con la frode, la violenza e la crudeltà.
C. Chaplin
Due cose mi sorprendono: l'intelligenza delle bestie e la bestialità degli uomini.
T. Bernard
Maiali costretti in stambugi senza luce. Galline chiuse notte e giorno nell'incubatrice. Oche inchiodate con le zampe al pavimento. Vitelli che passano dalla prigione al macello senza aver mai visto un prato. Gli ultimi animali, superstiti di una moltitudine che riempiva festosamente la terra, sono ridotti a un'eterna notte.
F. Burdin
Per prima cosa fu necessario civilizzare l'uomo in rapporto all'uomo. Ora è necessario civilizzare l'uomo in rapporto alla natura e agli animali.
V. Hugo
Mi addolora che non si arriverà mai a un'insurrezione degli animali contro di noi, degli animali pazienti, delle vacche, delle pecore, di tutto il bestiame che è nelle nostre mani e non ci può sfuggire.
E. Canetti
La bontà umana, in tutta la sua purezza e libertà, può venir fuori solo quando è rivolta verso chi non ha nessun potere. La vera prova morale dell’umanità, quella fondamentale, è rappresentata dall’atteggiamento verso chi è sottoposto al suo dominio: gli animali. E sul rispetto nei confronti degli animali, l’umanità ha combinato una catastrofe, un disastro così grave che tutti gli altri ne scaturiscono.
M. Kundera
Bibliografia di riferimento:
Bevilacqua P., La mucca è savia, Donzelli, Roma 2002
Braudel F., Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, Torino 1976
Cicia G., De Stefano F., Prospettive dell’agricoltura biologica in Italia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2007
Coetzee J.M., La vita degli animali, Adelphi, Milano 2000
FAO, Livestock’s long shadow, FAO, Roma 2006
Farracchi A., I polli preferiscono le gabbie, Amrita, Giaveno 2003
FEPMA, Documentación, Análisis y Diagnóstico del Estado de la Red Nacional de Vìas Pecunarias, 1996.
Foer J.S., Se niente importa. Perché mangiamo animali?, Guanda, Varese 2010
Goracci J., Less eat, better meat, intervento tenuto a Terra Madre, Torino 2010
Mason J., Un mondo sbagliato, Sonda, Monferrato 2007
McNeill J.R., Qualcosa di nuovo sotto il sole, Einaudi, Torino 2002
Moriconi E., Le fabbriche degli animali,Cosmopolis, Torino 2001
Patel R., I padroni del cibo, Feltrinelli, Milano 2008
Patel R., Il valore delle cose, Feltrinelli, Milano 2010
Patterson C., Un'eterna Treblinka, Ed. Riuniti, Roma 2003
Pavanello M., Sistemi umani. Profilo di antropologia economica e di ecologia culturale, CISU Roma 1992
Pearce F., Confessioni di un eco-peccatore, Edizioni Ambiente, Milano 2009
Petrini C., Slow Food. Le ragioni del gusto, Laterza, Bari-Roma 2003
Pollan M., Il dilemma dell’onnivoro, Adelphi, Milano 2008
Ponting C., Storia verde del mondo, SEI, Torino 1992
Regan T., Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, Sonda, Monferrato 2005
Rifkin J., Ecocidio, Mondadori, Milano 2001
Singer P., Liberazione animale, Il Saggiatore, Milano 2010
Striffler S., La fabbrica della carne in I frutti di Demetra 2006, n.12
Striffler S., The dangerous transformation of America’s favourite food, Yale University Press, 2007
Tolstoj L., Contro la caccia e il mangiar carne, a cura di G. Ditadi, Isonomia, Este 1994
Valera L., GAS gruppi di acquisto solidali, Terre di Mezzo, Milano 2005
Organismi internazionali
Environment Protection Agency (EPA)
Food and Agriculture Organization (FAO)
Human Rights Watch (HRW)
Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)
International Federation of Organic Agriculture Movements (IFOAM)
Office International des Epizooties(OIE)
Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)
World Bank
World Health Organization (WHO)
Fonte:
© 2012 AMIGI, Amici degli incontri del giovedì
www.amigi.org





Il suolo minacciato

http://www.youtube.com/watch?v=Rk5r4_qNjuY

Con il commento di Mercalli. Un documento interessante
per riflettere e prendere coscienza
Prologo + 5 video

domenica 8 gennaio 2012

Infrastrutture per la viabilità, ovvero l'evoluzione delle discariche illegali nel terzo millennio


Paolo Tessadri ha firmato un articolo interessante su L’Espresso in edicola il 05/01/2012 dove si evidenzia quanto sta succedendo in alcuni corridoi stradali di recente costruzione (anzi in alcuni casi siamo ancora all’apertura dei cantieri) nel nord Italia.

Vorrei focalizzare l’attenzione sul cantiere della BRE.BE.MI., l’autostrada per il veloce collegamento Brescia/Milano che, con la sua ramificazione in area Milano, attraverserà decine di paesi  ubicati  all’interno del Parco Agricolo Sud Milano.

Quanto accennato nell’articolo  ipotizza che il manto stradale ricopra rifiuti industriali che non abbiano preso la strada di un corretto e legale smaltimento ma che  illegalmente siano stati scaricati a sostituzione del materiale necessario per il riempimento delle carreggiate.  La magistratura sta vagliando attraverso i rilevi e indagini se realmente si sia creata una situazione tale da ipotizzare un reato. La stessa magistratura ha trasferito la documentazione al dipartimento antimafia per approfondire le indagini.

Il Parco Agricolo Sud Milano, nato sull’esperienza del Green Belt inglese, un polmone di produzione agricola al confine della metropoli,  subirà delle lacerazioni dovute, oltre alle nuove strade in progetto, soprattutto agli insediamenti commerciali che nasceranno in conseguenza dell’apertura di queste arterie. Le pressioni antropiche saranno sicuramente tanto forti che prevarranno su quella che è la missione storica del parco: fare agricoltura. Nonostante la popolazione delle aree interessate, le amministrazioni comunali ed i comitati sorti a salvaguardia del territorio abbiano messo in discussione queste opere  che si intersecano (la Bre.Be.Mi. deve essere supportata dalla TEEM, la quale deve avere sbocchi oltre alla rete esistente che è ritenuta non idonea a quello che sarà il traffico., ecc..), coloro che hanno deciso di costruire quest’opera (sicuramente lontano dalle logiche ambientali ed ecosostenibili) proseguono imperterriti senza le dovute preoccupazioni di quello che sarà il Parco Sud nel medio periodo, con la prospettiva, sempre più reale, che la missione stessa del parco volga al termine e si vanifichi lo spirito di questo polmone verde. Il tentativo da parte di aziende agricole ed associazioni (vedi Slow food, Cascina Cuccagna) che in un programma di multifunzionalità cercano di costruire un sistema agricolo che possa fornire le materie prime per nutrire le comunità urbane sarà sempre più difficile da sostenere a causa dei tempi della burocrazia del Paese, oltre alle lacerazioni intestine del Parco Sud. Oggi le associazioni di categoria agricole stimano solo i danni all’agricoltura per l’impatto del progetto e per i terreni espropriati nessuno è in grado di fare stime a lungo termine in quanto non vi sono ancora dati certi, le previsioni restano però allarmanti.

Riallacciandomi al tema dell’articolo, emerge una grande preoccupazione che è dovuta a quello che potrebbe succedere al suolo ed al sottosuolo. Un bellissimo reportage visibile anche su You Tube proposto dal Dott. Mercalli il cui titolo è “ il suolo minacciato” ci permette di fare un viaggio nella pianura Padana alla scoperta di quella che è stata l’edificazione e cementificazione selvaggia che ha bruciato terreno coltivabile in nome del progresso e delle necessità del mercato. Capannoni industriali in aree a vocazione agricola che in nome del capitale si sono trasformate in aree edificabili distruggendo quel suolo fertile e non più recuperabile, patrimonio della pianura Padana. Logicamente oggi buona parte dei capannoni sono vuoti a causa della crisi e così abbiamo perso anche pezzi di lavoro agricolo, ma questo probabilmente non interessa a molti e soprattutto a coloro che devono fare speculazione. Le pressioni antropiche, sopra citate, spingeranno le aziende agricole rimaste (poche e messe male)  con strutture e terreni a ridosso dei corridoi ad abbandonare le coltivazioni in quanto non più remunerative per poi svendere le aree o tenerle incolte in attesa (di solito funziona così) di un passaggio finale che è la trasformazione in terreni industriali in aree  edificabili nuovamente  speculando e bruciando sempre più la superficie agricola utilizzata (che è quella che conta per il nostro fabbisogno di materia prima per l’alimentazione).

Ma ora entriamo nel merito del sottosuolo. Il bene strategico del Parco Agricolo Sud Milano è l’acqua. Il reticolo idrico è talmente capillare e ricco che dal medioevo si applicano sistemi di coltivazione che hanno permesso di gestire allevamenti (soprattutto di vacche da latte) con ottimi risultati, in quanto il foraggio ha  più tagli nel ciclo dell’anno (le marcite sono opera dei monaci benedettini delle abbazie milanesi). Tutta l’agricoltura ha prosperato grazie al bene che oggi dovremmo classificare come bene strategico comune e quindi patrimonio indiscusso della popolazione che vive questo territorio. Pensare che si possa contaminare ulteriormente il sottosuolo, oltre a quanto  già deve assorbire quotidianamente,  a scopi illegali e puramente economici ( senza ombra di dubbio un sistema collocabile nel libro di Loretta Napoleoni "Economia canaglia") con un senso di irresponsabilità nei confronti delle comunità locali credo che sia inaccettabile a prescindere dai credi politici e dalle ideologie pro e contro la salvaguardia dell’ambiente. I materiali, scarico di fonderie e rifiuti nocivi, citati dal giornalista avranno un impatto sull’ambiente e sull’uomo che ci deve vivere, le cui conseguenze probabilmente si potranno notare nel corso del tempo. Praticamente ci troviamo di fronte ad una metodologia diversa più economica e remunerativa di smaltimento dei rifiuti nocivi, un nuovo sistema discarica  che permette di evitare un confronto con la popolazione per l’utilizzo di aree definite e controllate ma nello stesso tempo distribuita (all’insaputa di tutti) su un percorso che equivale al percorso delle arterie stradali. Questo sistema non è che l’evoluzione delle discariche illegali del terzo millennio.

Credo che questi atti criminali, se confermati,  debbano essere considerati al pari dei crimini contro l’umanità e ritengo che non sia sufficiente una sanzione, se pur pesante, come risarcimento. Questo è uno di quei casi in cui la società civile deve indignarsi alzando forte il tono della voce.

Marco Legramanti

lunedì 26 dicembre 2011

Il diritto all'orto

Quello che sino a qualche decennio fa si poteva considerare parte integrante della vita di una famiglia oggi diventa una conquista per tutti coloro che non dispongono di un pezzo di terra, piccolo o grande, per dare vita alle coltivazioni che generalmente si collocano nella produzione per autoconsumo.
Parliamo di orti, affrontando l’argomento nel senso pratico della questione senza toccare le sfumature che fanno da contorno a questo tema; eviteremo pertanto di parlarne come momento legato ad una moda che fa tanto ”in”, soprattutto vissuto da alcune persone, e come letteratura, visto che gli scaffali delle librerie si sono riempiti di testi tematici legati all’argomento spaziando dalla terapia alle metodologie di coltivazione.
La ricognizione storica evidenzia che l’orto accompagna l’uomo da migliaia di anni: urbanizzato o in area rurale ha sicuramente contribuito al sostegno di gruppi familiari ed intere comunità in tutti i momenti della storia, sia in periodi di pace, prosperando, sia in periodi di guerra e di recessione.
Il valore sociale ed etico in questo rapporto naturale che lega l’uomo e la terra non è discutibile e sicuramente è talmente saldo che lo si incontra, in maniera più o meno radicata, in tutte le realtà del pianeta senza distinzione di Paese, a prescindere dal proprio indice di sviluppo umano.
Il passaggio, negli ultimi decenni, da quello che era il classico orto in campo all’ orto sul balcone, sul terrazzo ed in aree dismesse delle città ha confermato la volontà da parte di coloro che vivono in insediamenti urbanizzati di continuare a mantenere un legame con la terra cercando di non disperdere le conoscenze e le tecniche di  coltivazione acquisite. Un sapere che nella maggior parte dei casi si è tramandato tra generazioni.
Sfatare il mito che orto è sinonimo di anzianità è dimostrato  sia dall’approccio sia dalla costanza riposti in questa attività, prettamente manuale, dalle varie fasce sociali e di differenti età coinvolte. Sovente, inoltre, si sono ritrovati valori importanti che si scontrano con l’attuale stile di vita consumistico.
La frustrazione del quotidiano, appesantita oggi da una situazione economica e un modello di vita frenetico e preoccupante, i cui riflessi  condizionano notevolmente la routine, ci pongono nella necessità di rivedere alcuni stili di vita ed ambizioni che probabilmente sono da considerarsi falliti, cercando un rapporto collettivo che permetta a tutta la comunità, sia urbana sia rurale, di ricostruire quella società civile di cui tutti abbiamo bisogno per edificare un sistema di convivenza che sia etico ed umano.
A Chiasso (CH) un'area degradata è stata riqualificata attraverso l'esperienza degli Orti Condivisi, orti che l'Amministrazione Comunale ha assegnato non solo alla fascia più anziana della popolazione, ma anche a famiglie, singles, persone provenienti da altri Paesi. Una riqualificazione territoriale e umana dunque, un'occasione di incontro tra generazioni e culture diverse, perché attraverso i gesti semplici e secolari del zappare la terra, seminarla, irrigarla, raccoglierne i frutti è più facile comunicare anche tra lingue diverse e creare scambi interculturali diventa allora più semplice di tanti complicati progetti di integrazione. E' come se tornare alla semplicità del nostro rapporto con la natura ci aiutasse anche a ricercare e a ritrovare la qualità essenziale nelle relazioni.
Appropriarsi, come società civile, dei beni comuni attraverso un recupero culturale a difesa del collettivo significa sensibilizzare le istituzioni a rivedere l’utilizzo di questi beni in maniera più consona alle esigenze attuali, soprattutto in un momento di difficoltà economica e di incertezza per il futuro.
Il “diritto all’orto” è una proposta ma anche una provocazione e vuole essere uno stimolo alla riflessione per coloro che sono preposti alle decisioni riguardanti la collettività soprattutto per un utilizzo diversificato degli spazi comuni.
Occorre rivalutare le aree urbane dismesse e abbandonate, dove sovente nascono orti abusivi in balia dei predatori, ma anche rivedere il concetto di parco cittadino che potrebbe tranquillamente essere condiviso da diverse fasce di età, bambini per il gioco e lo svago, animali da compagnia, relax per coloro che durante la giornata cercano una pausa e perché no, coltivatori di orto. Si realizzerebbe così un presidio giornaliero eterogeneo per esigenze e necessità ma sicuramente stimolante. Un interscambio di saperi che permetterebbe di creare aree ricche di una cultura diversa e stimolante.
Sostenere in maniera forte e decisa il riordino di queste aree con l’obiettivo di  riappropriarsi in forma diversa degli spazi verdi vuole dire spronare le amministrazioni comunali ad intervenire ulteriormente a favore di politiche sociali in forma concreta e solidale dando un supporto anche a  coloro che oggi hanno la necessità di una reale integrazione al reddito eroso da una crisi non certo creata dalle fasce più deboli o che si sta indebolendo. Sostenere nuclei familiari che improvvisamente si ritrovano a convivere con ammortizzatori sociali a sostituzione di un reddito, o con la perdita totale di un reddito, assegnando un’ area coltivabile, significa anche offrire un supporto psicologico abbattendo la frustrazione che in genere affiora in queste situazioni.
E’ un investimento di cui la società civile deve farsi carico  per un bene comune che non è solo il riassetto di spazi urbani o extraurbani ma è un insieme di tasselli che formerebbero un puzzle dove si intrecciano diversi percorsi, culturali, sociali e soprattutto in una visione totalmente differente del condividere.
Marco Legramanti
Chiara Cravotto
ortiinmovimento@gmail.com


domenica 6 novembre 2011

Nutrire la metropoli - Acqua il bene strategico del Parco Agricolo Sud Milano

Dal post precedente (transumanza) abbiamo potuto constatare che le rotte utilizzate dai bergamini seguivano le aste fluviali per terminare nelle aree fertili della pianura dove il bestiame poteva apprivigionarsi senza problemi.  Il tutto era dovuto al un sistema idrico naturale  (la linea dei fontanili) ed in parte a canali  costruiti dall'uomo nell'arco dei secoli. Questo reticolo idrico presente sia nel sottosuolo sia in superficie ha contribuito alla nascita ed alla gestione di un sistema agricolo tra i più ricchi in Europa.  Il bene strategico che ha contribuito a tutto ciò è l'acqua. La parte irrigua importante e fondamentale è quella a sud dei navigli, quella che oggi rappresenta il Parco Agricolo Sud Milano in quanto la parte a nord , non potendo beneficiare del reticolo, non ha sviluppato le stesse capacità produttive.
Dal medioevo,  con la costruzione dei navigli e del lavoro dei monaci Benedettini dei conventi del Milanese, il suolo ha potuto garantire una produzione sia in quantità sia in qualità.
La linea superiore dei fontanili separa la bassa pianura lombarda, regno della grande azienda irrigua, dall'alta pianura: sede, quest'ultima, di un'agricoltura povera, costretta a cercare integrazioni di reddito con attività extra agricole. Questa linea di separazione ratifica una diversificazione nella vocazione produttiva.
Fra l'Adda ed il Ticino vi è il cuore pulsante  di un'agricoltura i cui processi avviati secoli prima si portano a compimento nella seconda metà del Settecento. La progressiva estensione dell'irrigazione, la diffusione della risaia e l'ampliamento del prato irriguo, l'integrazione delle colture cerealicole con quelle foraggiere e l'allevamento stabile nelle cascine consolidano un sistema agricolo di elevata produzione.
Il ciclo chiuso, su cui si basava l'agricoltura che, utilizzando energia umana e animale  (entrambe rinnovabili), non era legata all'energia fossile, riusciva a produrre tutto quello di cui si necessitava per vivere. La cascina, insediamento di gruppi umani, all'interno della campagna ha sempre seguito i cicli naturali di produzione in perfetta simbiosi con tutti gli esseri viventi di cui doveva condividere le sinergie.
La rivoluzione verde rompe l'equilibrio tra uomo e natura ed attraverso i processi chimici di fertilizzazione e di abbattimento forzato, con l'uso dei pesticidi, di qualsiasi essere vivente che sia fastidioso alle culture ed  impone la monocultura creando nell'arco dei decenni un impoverimento dei terreni, un inquinamento delle falde acquifere e facendo decadere quello che per secoli era legato al ciclo stagionale ed alla vita stessa delle comunità nella cascina. Le cascine si svuotano e l'industria agricola è sempre più legata alle borse economiche che stabiliscono prezzi e modalità produttive.

Le colture più diffuse, oggi giorno, nel Parco Sud sono le seguenti: cereali 43%, riso 22%, prato 16%, altro 19%. Produrre per la metropoli implica la creazione di un legame  stabile tra chi produce e chi consuma eliminando gli anelli speculativi della filiera. Significa anche produrre ciò che  è parte  della tradizione alimentare del territorio legando il tutto ai cicli naturali ed abbandonando le forzature. Mantenere "pulito" il reticolo idrico, sia in superficie sia nel sottosuolo, significa garantire alle generazioni future un bene che possa essere utilizzato al meglio senza problemi di salute e soprattutto un bene che deve essere rispettato e  considerato, senza ombra di dubbio, patrimonio dell'umanità. 

Fonte
- G.Crainz: Padania
- La Repubblica 09/07/2011
- F.Ogliari:MIlano le sue acque e i suoi navigli

Nutrire la metropoli - Prospettiva storica

La produzione di cibo in ambito urbano non è una pratica nuova nella storia della città e ha sempre avuto un ruolo importante nell'economia delle citta' stesse. Già nell'antichità le città fortificate disponeveano di importanti sistemi sia di irrigazione sia di coltivazione ad uso esclusivo della popolazione residente. Nel medioevo le città europee avevano due tipi di orti urbani: quelli destinati alla sussistenza dei nuclei familiari e quelli delle istituzione conventuali. Questo sistema metteva in condizioni le città di essere autosufficienti dal punto di vista alimentare in caso di assedio. La diminuzione dei costi di trasporto, dovuto alla rivoluzione industriale causò la fine dell'agricoltura urbana nella maggior parte delle città.
Durante le due guerre mondiali l'agricoltura urbana ebbe un ruolofondamentale e strategio per le popolazioni. "Orti di guerra" in Italia, dove possiamo ricordare che in Piazza del Duomo in Milano veniva coltivato il frumento. "Victory Gardens" in Canada, USA e UK avevano lo stesso scopo dei nostri orti di guerra. Funzionavano talmente bene questi orti  che anche una parte degli allevamenti zootecnici ubicati in campagna, tipo pollame e suini, furono trasferiti nelle città utilizzando poi gli escrementi come fertilizzante oltre ai derivati dalle compostiere.
Il boom economico in Europa e nel Nord America, dopo la seconda guerra mondiale, liberò gli abitanti delle città dalle preoccupazioni alimentari e l'agricoltura urbana si ridusse ad un fenomeno marginale.

E' negli anni settanta del secolo scorso che inizia una nuova fase di espasione per l'agricoltura urbana sia nei paesi del nord sia in quelli del sud del mondo.
Nei paesi in via di sviluppo l'espansione delle politiche neo-liberiste promosse dagli organismi internazionali come WTO e Banca Mondiale, ed applicata dalle società multinazionali, causarono un riassetto delle produzioni agricole, espropriando e sconvolgendo gli ecosistemi delle popolazioni indigene e producendo grandi migrazioni verso le città che nell'arco degli anni si sono trasformate in grandi megalopoli creando non pochi disagi alle fascie più povere della popolazione le quali stanno utilizzando sistemi di agricoltura urbana per il proprio sostentamento.
Le stesse politiche neo-liberiste hanno creato disagi anche nelle popolazioni più svantaggiate dei paesi ricchi, a causa della progressiva eliminazione del welfare e delle reti di tutela sociale.Il processo di de-industrializzazione ha portato alla liberazione di aree all'interno delle città che in alcuni casi sono stati o potrebbero essere utilizzati come spazi coltivabili.
Per far fronte all'inisicurezza alimentare  si erano attivati programmi in Cina con Mao Tse-Tung anche nelle aree urbanizzate e nell' Unione Sovietica di Gorbaciov. Il programma di studi "Food-Energy Nexus" delle Nazioni Unite ha evidenziato come in differenti culture, climi e sistemi politi in Africa, Asia, America Latina ed Europa, si siano sviluppate forme simili di organizzazione agricola urbana.
Non possiamo dimenticare quanto si è fatto a Cuba, dopo la caduta del regime sovietico, con lo sviluppo di un sistema efficiente di produzione agricola urbana. Grazie ad un forte investimento nella ricerca scientifica finalizzato all'utilizzo di sistemi alternativi ai pesticidi.
La realtà odierna ci permette uno scambio di  informazioni  a livello globale ed in tempo reale, attraverso l'utilizzo dei social network e possiamo così confrontare le diverse realtà. E' nei paesi  classificati sviluppati che si sono predisposte le politiche più avanzate in materia di agricoltura urbana, anche se l'importanza di questa pratica non sia vitale quanto lo è per gli abitanti delle città del sud del mondo.
(Nei paesi sviluppati il consumatore attento  e' costantemente alla ricerca di prodotti di elevata qualità oltre che salubrità, ed è molto vigile a ciò che arriva alla sua tavola. Le piccole produzioni urbane possono sicuramente soddisfare queste esigenze dove è impensabile con una produzione industriale intensiva).

A Montreal l'agricoltura urbana è prevista come uso permanente nei parchi urbani.
Vancouver si è dotata di una agenzia municipale per il governo della politica alimentare urbana e quasi metà della popolazione è coinvolta nella produzione di cibo su terreni privati, cortili, balconi, tetti o in uno dei 17 orti comunitari realizzati dalla pubblica amministrazione.

La municipalità di San Francisco a deliberato la libera vendita dei prodotti degli orti privati ai vicini di casa o a chi vuole acquistare.
New York permette di allevare in giardino, per auto consumo, avicoli.
Berlino ormai a censito migliaia di orti sociali.

Alcuni esempi per dimostrare che ogni paese, incluso l'Italia, sta sviluppando un programma di agricoltura urbana, chi in forma semplice con dei piccoli orti sociali chi, invece, in forme avanzate coinvolgendo la popolazione del tessuto urbano con politiche sociali mirate e lungimiranti.
Si stima che negli anni novanta del secolo scorso oltre 800 milionidi persone nel mondo fossero coinvolte in pratiche di agricoltura urbana.
Queste esperienze evidenziano che esiste una tendenza ad un riassetto della produzione agricola a livello mondiale orientata a nuove forme organizzative dallo sviluppo e dalle conseguenze ancora imprevedibili. 

Fonti: 

- Prof.Giovanni Virgilio:Sistema alimentare e pianificazione urbanistica
- VUAN: Vancouver CND
- SFUAA: San Francisco USA
- La Repubblica