lunedì 26 dicembre 2011

Il diritto all'orto

Quello che sino a qualche decennio fa si poteva considerare parte integrante della vita di una famiglia oggi diventa una conquista per tutti coloro che non dispongono di un pezzo di terra, piccolo o grande, per dare vita alle coltivazioni che generalmente si collocano nella produzione per autoconsumo.
Parliamo di orti, affrontando l’argomento nel senso pratico della questione senza toccare le sfumature che fanno da contorno a questo tema; eviteremo pertanto di parlarne come momento legato ad una moda che fa tanto ”in”, soprattutto vissuto da alcune persone, e come letteratura, visto che gli scaffali delle librerie si sono riempiti di testi tematici legati all’argomento spaziando dalla terapia alle metodologie di coltivazione.
La ricognizione storica evidenzia che l’orto accompagna l’uomo da migliaia di anni: urbanizzato o in area rurale ha sicuramente contribuito al sostegno di gruppi familiari ed intere comunità in tutti i momenti della storia, sia in periodi di pace, prosperando, sia in periodi di guerra e di recessione.
Il valore sociale ed etico in questo rapporto naturale che lega l’uomo e la terra non è discutibile e sicuramente è talmente saldo che lo si incontra, in maniera più o meno radicata, in tutte le realtà del pianeta senza distinzione di Paese, a prescindere dal proprio indice di sviluppo umano.
Il passaggio, negli ultimi decenni, da quello che era il classico orto in campo all’ orto sul balcone, sul terrazzo ed in aree dismesse delle città ha confermato la volontà da parte di coloro che vivono in insediamenti urbanizzati di continuare a mantenere un legame con la terra cercando di non disperdere le conoscenze e le tecniche di  coltivazione acquisite. Un sapere che nella maggior parte dei casi si è tramandato tra generazioni.
Sfatare il mito che orto è sinonimo di anzianità è dimostrato  sia dall’approccio sia dalla costanza riposti in questa attività, prettamente manuale, dalle varie fasce sociali e di differenti età coinvolte. Sovente, inoltre, si sono ritrovati valori importanti che si scontrano con l’attuale stile di vita consumistico.
La frustrazione del quotidiano, appesantita oggi da una situazione economica e un modello di vita frenetico e preoccupante, i cui riflessi  condizionano notevolmente la routine, ci pongono nella necessità di rivedere alcuni stili di vita ed ambizioni che probabilmente sono da considerarsi falliti, cercando un rapporto collettivo che permetta a tutta la comunità, sia urbana sia rurale, di ricostruire quella società civile di cui tutti abbiamo bisogno per edificare un sistema di convivenza che sia etico ed umano.
A Chiasso (CH) un'area degradata è stata riqualificata attraverso l'esperienza degli Orti Condivisi, orti che l'Amministrazione Comunale ha assegnato non solo alla fascia più anziana della popolazione, ma anche a famiglie, singles, persone provenienti da altri Paesi. Una riqualificazione territoriale e umana dunque, un'occasione di incontro tra generazioni e culture diverse, perché attraverso i gesti semplici e secolari del zappare la terra, seminarla, irrigarla, raccoglierne i frutti è più facile comunicare anche tra lingue diverse e creare scambi interculturali diventa allora più semplice di tanti complicati progetti di integrazione. E' come se tornare alla semplicità del nostro rapporto con la natura ci aiutasse anche a ricercare e a ritrovare la qualità essenziale nelle relazioni.
Appropriarsi, come società civile, dei beni comuni attraverso un recupero culturale a difesa del collettivo significa sensibilizzare le istituzioni a rivedere l’utilizzo di questi beni in maniera più consona alle esigenze attuali, soprattutto in un momento di difficoltà economica e di incertezza per il futuro.
Il “diritto all’orto” è una proposta ma anche una provocazione e vuole essere uno stimolo alla riflessione per coloro che sono preposti alle decisioni riguardanti la collettività soprattutto per un utilizzo diversificato degli spazi comuni.
Occorre rivalutare le aree urbane dismesse e abbandonate, dove sovente nascono orti abusivi in balia dei predatori, ma anche rivedere il concetto di parco cittadino che potrebbe tranquillamente essere condiviso da diverse fasce di età, bambini per il gioco e lo svago, animali da compagnia, relax per coloro che durante la giornata cercano una pausa e perché no, coltivatori di orto. Si realizzerebbe così un presidio giornaliero eterogeneo per esigenze e necessità ma sicuramente stimolante. Un interscambio di saperi che permetterebbe di creare aree ricche di una cultura diversa e stimolante.
Sostenere in maniera forte e decisa il riordino di queste aree con l’obiettivo di  riappropriarsi in forma diversa degli spazi verdi vuole dire spronare le amministrazioni comunali ad intervenire ulteriormente a favore di politiche sociali in forma concreta e solidale dando un supporto anche a  coloro che oggi hanno la necessità di una reale integrazione al reddito eroso da una crisi non certo creata dalle fasce più deboli o che si sta indebolendo. Sostenere nuclei familiari che improvvisamente si ritrovano a convivere con ammortizzatori sociali a sostituzione di un reddito, o con la perdita totale di un reddito, assegnando un’ area coltivabile, significa anche offrire un supporto psicologico abbattendo la frustrazione che in genere affiora in queste situazioni.
E’ un investimento di cui la società civile deve farsi carico  per un bene comune che non è solo il riassetto di spazi urbani o extraurbani ma è un insieme di tasselli che formerebbero un puzzle dove si intrecciano diversi percorsi, culturali, sociali e soprattutto in una visione totalmente differente del condividere.
Marco Legramanti
Chiara Cravotto
ortiinmovimento@gmail.com


domenica 6 novembre 2011

Nutrire la metropoli - Acqua il bene strategico del Parco Agricolo Sud Milano

Dal post precedente (transumanza) abbiamo potuto constatare che le rotte utilizzate dai bergamini seguivano le aste fluviali per terminare nelle aree fertili della pianura dove il bestiame poteva apprivigionarsi senza problemi.  Il tutto era dovuto al un sistema idrico naturale  (la linea dei fontanili) ed in parte a canali  costruiti dall'uomo nell'arco dei secoli. Questo reticolo idrico presente sia nel sottosuolo sia in superficie ha contribuito alla nascita ed alla gestione di un sistema agricolo tra i più ricchi in Europa.  Il bene strategico che ha contribuito a tutto ciò è l'acqua. La parte irrigua importante e fondamentale è quella a sud dei navigli, quella che oggi rappresenta il Parco Agricolo Sud Milano in quanto la parte a nord , non potendo beneficiare del reticolo, non ha sviluppato le stesse capacità produttive.
Dal medioevo,  con la costruzione dei navigli e del lavoro dei monaci Benedettini dei conventi del Milanese, il suolo ha potuto garantire una produzione sia in quantità sia in qualità.
La linea superiore dei fontanili separa la bassa pianura lombarda, regno della grande azienda irrigua, dall'alta pianura: sede, quest'ultima, di un'agricoltura povera, costretta a cercare integrazioni di reddito con attività extra agricole. Questa linea di separazione ratifica una diversificazione nella vocazione produttiva.
Fra l'Adda ed il Ticino vi è il cuore pulsante  di un'agricoltura i cui processi avviati secoli prima si portano a compimento nella seconda metà del Settecento. La progressiva estensione dell'irrigazione, la diffusione della risaia e l'ampliamento del prato irriguo, l'integrazione delle colture cerealicole con quelle foraggiere e l'allevamento stabile nelle cascine consolidano un sistema agricolo di elevata produzione.
Il ciclo chiuso, su cui si basava l'agricoltura che, utilizzando energia umana e animale  (entrambe rinnovabili), non era legata all'energia fossile, riusciva a produrre tutto quello di cui si necessitava per vivere. La cascina, insediamento di gruppi umani, all'interno della campagna ha sempre seguito i cicli naturali di produzione in perfetta simbiosi con tutti gli esseri viventi di cui doveva condividere le sinergie.
La rivoluzione verde rompe l'equilibrio tra uomo e natura ed attraverso i processi chimici di fertilizzazione e di abbattimento forzato, con l'uso dei pesticidi, di qualsiasi essere vivente che sia fastidioso alle culture ed  impone la monocultura creando nell'arco dei decenni un impoverimento dei terreni, un inquinamento delle falde acquifere e facendo decadere quello che per secoli era legato al ciclo stagionale ed alla vita stessa delle comunità nella cascina. Le cascine si svuotano e l'industria agricola è sempre più legata alle borse economiche che stabiliscono prezzi e modalità produttive.

Le colture più diffuse, oggi giorno, nel Parco Sud sono le seguenti: cereali 43%, riso 22%, prato 16%, altro 19%. Produrre per la metropoli implica la creazione di un legame  stabile tra chi produce e chi consuma eliminando gli anelli speculativi della filiera. Significa anche produrre ciò che  è parte  della tradizione alimentare del territorio legando il tutto ai cicli naturali ed abbandonando le forzature. Mantenere "pulito" il reticolo idrico, sia in superficie sia nel sottosuolo, significa garantire alle generazioni future un bene che possa essere utilizzato al meglio senza problemi di salute e soprattutto un bene che deve essere rispettato e  considerato, senza ombra di dubbio, patrimonio dell'umanità. 

Fonte
- G.Crainz: Padania
- La Repubblica 09/07/2011
- F.Ogliari:MIlano le sue acque e i suoi navigli

Nutrire la metropoli - Prospettiva storica

La produzione di cibo in ambito urbano non è una pratica nuova nella storia della città e ha sempre avuto un ruolo importante nell'economia delle citta' stesse. Già nell'antichità le città fortificate disponeveano di importanti sistemi sia di irrigazione sia di coltivazione ad uso esclusivo della popolazione residente. Nel medioevo le città europee avevano due tipi di orti urbani: quelli destinati alla sussistenza dei nuclei familiari e quelli delle istituzione conventuali. Questo sistema metteva in condizioni le città di essere autosufficienti dal punto di vista alimentare in caso di assedio. La diminuzione dei costi di trasporto, dovuto alla rivoluzione industriale causò la fine dell'agricoltura urbana nella maggior parte delle città.
Durante le due guerre mondiali l'agricoltura urbana ebbe un ruolofondamentale e strategio per le popolazioni. "Orti di guerra" in Italia, dove possiamo ricordare che in Piazza del Duomo in Milano veniva coltivato il frumento. "Victory Gardens" in Canada, USA e UK avevano lo stesso scopo dei nostri orti di guerra. Funzionavano talmente bene questi orti  che anche una parte degli allevamenti zootecnici ubicati in campagna, tipo pollame e suini, furono trasferiti nelle città utilizzando poi gli escrementi come fertilizzante oltre ai derivati dalle compostiere.
Il boom economico in Europa e nel Nord America, dopo la seconda guerra mondiale, liberò gli abitanti delle città dalle preoccupazioni alimentari e l'agricoltura urbana si ridusse ad un fenomeno marginale.

E' negli anni settanta del secolo scorso che inizia una nuova fase di espasione per l'agricoltura urbana sia nei paesi del nord sia in quelli del sud del mondo.
Nei paesi in via di sviluppo l'espansione delle politiche neo-liberiste promosse dagli organismi internazionali come WTO e Banca Mondiale, ed applicata dalle società multinazionali, causarono un riassetto delle produzioni agricole, espropriando e sconvolgendo gli ecosistemi delle popolazioni indigene e producendo grandi migrazioni verso le città che nell'arco degli anni si sono trasformate in grandi megalopoli creando non pochi disagi alle fascie più povere della popolazione le quali stanno utilizzando sistemi di agricoltura urbana per il proprio sostentamento.
Le stesse politiche neo-liberiste hanno creato disagi anche nelle popolazioni più svantaggiate dei paesi ricchi, a causa della progressiva eliminazione del welfare e delle reti di tutela sociale.Il processo di de-industrializzazione ha portato alla liberazione di aree all'interno delle città che in alcuni casi sono stati o potrebbero essere utilizzati come spazi coltivabili.
Per far fronte all'inisicurezza alimentare  si erano attivati programmi in Cina con Mao Tse-Tung anche nelle aree urbanizzate e nell' Unione Sovietica di Gorbaciov. Il programma di studi "Food-Energy Nexus" delle Nazioni Unite ha evidenziato come in differenti culture, climi e sistemi politi in Africa, Asia, America Latina ed Europa, si siano sviluppate forme simili di organizzazione agricola urbana.
Non possiamo dimenticare quanto si è fatto a Cuba, dopo la caduta del regime sovietico, con lo sviluppo di un sistema efficiente di produzione agricola urbana. Grazie ad un forte investimento nella ricerca scientifica finalizzato all'utilizzo di sistemi alternativi ai pesticidi.
La realtà odierna ci permette uno scambio di  informazioni  a livello globale ed in tempo reale, attraverso l'utilizzo dei social network e possiamo così confrontare le diverse realtà. E' nei paesi  classificati sviluppati che si sono predisposte le politiche più avanzate in materia di agricoltura urbana, anche se l'importanza di questa pratica non sia vitale quanto lo è per gli abitanti delle città del sud del mondo.
(Nei paesi sviluppati il consumatore attento  e' costantemente alla ricerca di prodotti di elevata qualità oltre che salubrità, ed è molto vigile a ciò che arriva alla sua tavola. Le piccole produzioni urbane possono sicuramente soddisfare queste esigenze dove è impensabile con una produzione industriale intensiva).

A Montreal l'agricoltura urbana è prevista come uso permanente nei parchi urbani.
Vancouver si è dotata di una agenzia municipale per il governo della politica alimentare urbana e quasi metà della popolazione è coinvolta nella produzione di cibo su terreni privati, cortili, balconi, tetti o in uno dei 17 orti comunitari realizzati dalla pubblica amministrazione.

La municipalità di San Francisco a deliberato la libera vendita dei prodotti degli orti privati ai vicini di casa o a chi vuole acquistare.
New York permette di allevare in giardino, per auto consumo, avicoli.
Berlino ormai a censito migliaia di orti sociali.

Alcuni esempi per dimostrare che ogni paese, incluso l'Italia, sta sviluppando un programma di agricoltura urbana, chi in forma semplice con dei piccoli orti sociali chi, invece, in forme avanzate coinvolgendo la popolazione del tessuto urbano con politiche sociali mirate e lungimiranti.
Si stima che negli anni novanta del secolo scorso oltre 800 milionidi persone nel mondo fossero coinvolte in pratiche di agricoltura urbana.
Queste esperienze evidenziano che esiste una tendenza ad un riassetto della produzione agricola a livello mondiale orientata a nuove forme organizzative dallo sviluppo e dalle conseguenze ancora imprevedibili. 

Fonti: 

- Prof.Giovanni Virgilio:Sistema alimentare e pianificazione urbanistica
- VUAN: Vancouver CND
- SFUAA: San Francisco USA
- La Repubblica

Nutrire la metropoli - La transumanza

La Martesana, area est di Milano, è stata per decenni uno dei terminali delle rotte della transumanza bovina lombarda. I punti di partenza erano ubicati nella Val Sassina, Val Taleggio e Val Brembana dove i "bergamini", con cadenze ben stabilite, alla fine della stagione dell'alpeggio si organizzavano per la partenza verso la pianura. Un viagggio che durava diversi giorni con tutta la famiglia a aseguito, mucche, cani a supporto ed il carro dove venivano trasportati, oltre ai suppellettili, gli attrezzi per la preparazione del formaggio. L'organizzazione del viaggio permetteva di utilizzare punti sosta per il ristoro ed il riposo incluso le necessità degli animali, la mungitura e la preparazione del formaggio. Arrivati a destino venivano uccupate le stalle nelle località a sud del naviglio dove si poteva svernare sino all'attesa della primavera per il rientro in alpeggio. La scelta delle località a sud del naviglio, quelle che oggi sono parte integrante del Parco Agricolo Sud Milano, non era avvenuta a caso ma dovuta all'eccellente qualità delle erbe prodotte nei campi e del fieno estivo. La linea dei fontanili, il reticolo idrico dell'area e le marcite avevano contribuito alla coltivazione di un foraggio  e un'alimentazione di elevata qualità per il bestiame con la  conseguenza di una forte produzione di latte e  trasformazione in formaggi.  Molti  "bergamini" hanno poi deciso di riorganizzare il ciclo produttivo ed insediarsi definitivamente in Martesana aprendo caseifici dedicandosi a tempo pieno alla produzione casearia, pur mantenendo inalterato il ciclo della transumanza. 
Oggi la salvaguardia di un territorio che per secoli è stato gestito con cura  da una  manovalanza contadina specializzata nel controllo delle acque (i camperi) ci  permeterebbe  di non perdere il patrimonio di una materia prima come il tipo di foraggio coltivato. Ripercorrere il cammino della transumanza cogliendo anche le sfumature, che ha portato a quello che allora si poteva definire un distretto industriale del formaggio, si potrebbe interpretare come la possibilità di recuperare questo sapere e ricominciare una produzione casearia nuova,di  qualità, destinata direttamente al consumatore. 

Fonti:

Sergio Villa, Storia di Melzo
Guido Crainz, Padania
Michele Corti, I Bergamini

Parchi e spazi urbani ripensati per coltivare gli orti

Ripensare alle aree verdi urbane. Un tema molto sentito a livello globale. Vancouver oggi è una città all'avanguardia in tema di spazi lasciati ai cittadini sotto forma di orti coltivabili. 
La città di New York ha concesso a chi lo desidera e dispone di uno spazio verde, se pur piccolo, di poter allevare polli per autoconsumo. 
A Chiasso sono stati inaugurati, da poco, gli orti collettivi, dove una cinquantina di famiglie possono coltivare e consumare i prodotti del proprio orto. Pochi esempi per evidenziare che, sia le metropoli sia le piccole città sono sensibili all'esigenza dei cittadini, e le diverse amministrazioni, tra cui anche quelle nel nostro Paese,  si stanno orientando o potenziando queste scelte strategiche. 
La situazione economica attuale spinge sempre più nuclei famigliari a ridurre i consumi e spese ed un ritorno all'autoproduzione alimentare sicuramente è un percorso fattibile e stimolante a supporto di un concreto sostegno economico. Il verde urbano, oggi, va ripensato sia per abbattere i costi di gestione dovuti alla costante manutenzione sia per creare aree alternative all'interno dello stesso verde dove una presenza costante permetterebbe oltretutto di avere un presidio controllato a favore della sicurezza. 
Utilizzare una parte di questo verde destinandolo alla coltivazione orticola, con un investimento minimo, significa soprattutto creare uno stimolo positivo, oltre al supporto economico sopra descritto, recuperando anche quei valori etici e rispettosi nei confronti della natura e dell'ambiente.

Parliamo di benessere animale

Agricoltura urbana significa anche recuperare metodologie di allevamento abbandonate a causa delle esigenze dell'allevamento intensivo. Utilizzare sistemi improntati sul  rispetto del animale (come il metodo di allevamento Mediterraneo) è possibile e sicuramente molto più etico e salubre non solo nei confronti degli stessi animali ma anche del consumatore che è sempre più attento a ciò che raggiunge la sua tavola.

BENESSERE ANIMALE

Il significato del termine benessere ha molteplici accezioni, una definizione di questo concetto ci viene fornito da Hughes (1976) come "quello stato di equilibrio mentale e fisico che consente all'animale di essere in armonia con l'ambiente che lo circonda". Una definizione più recente è data da Broom (1990) secondo la quale il benessere è "lo stato dell'individuo in rapporto ai suoi tentativi di adattarsi al suo ambiente", quindi il concetto di benessere deve essere intenso in senso dinamico.
Da queste definizioni si deducono le condizioni necessarie a mantenere un buono stato di benessere di un animale:

-         alimentazione adeguata a seconda dei fabbisogni dell'animale
-         l'animale non deve subire dolori o fastidi
-         buono stato di salute
-         non deve subire stress
-         libero di esprimere la maggior parte dei suoi modelli comportamentali

In condizioni naturali l'animale vive in armonia con il suo ambiente nel quale ogni specie compie le sue funzioni biologiche applicando modelli comportamentali di volta in volta diversi in rapporto alle esigenze del momento.
Nell'allevamento, specie in quello intensivo, a volte si viene meno a questi accorgimenti che sono importanti per lo stato psico-fisico dell'animale, alcuni esempi:

-         forte spinta sulla selezione,
-         sfruttamento eccessivo dell'animale per ottenere maggiori quantitativi delle produzione (spesso trascurando l    'aspetto qualitativo delle produzioni di origine animale),
-         gestione dell'allevamento errata ( questo può comportare patologie, piuttosto che stress)
-         mancanza di stimoli: un pollo chiuso in una gabbia beve circa il doppio rispetto a un pollo al pascolo poiché l'unico sfogo che ha è  giocare con i beverini, un suino senza del materiale edibile sul quale grufolare, morsica gli altri compagni perché si annoia visto che il grufolamento è un comportamento importante nella specie suina...

In conclusione il welfare (benessere) è una caratteristica dell'animale e non qualcosa che gli viene fornito dall'esterno, si può misurare in modo scientifico tramite la conoscenza della biologia della specie e dei metodi usati dagli animali per tentare di adattarsi all'ambiente.

Un grazie per il supporto a Chiara Iametti prossima laureanda in Scienze del benessere animale


Agricivismo

Il termine è stato coniato dal Dr.Richard Ingersoll volendo significare "l'utilizzo delle attività agricole in zone urbane per migliorare la vita civica e la qualità ambientale e del paesaggio".
Nel post precedente si evidenzia la necessità di rivalutare gli spazi verdi destinati a parco diversificandone la funzione creando aree adibite alla coltivazione di ortaggi. Spazi che, se gestiti in forma diversa, sicuramente potrebbero contribuire a sviluppare attività aggregative e produttive con un fine sociale di cui a beneficiarne sarà sicuramente la comunità interessata.
Il paesaggio, nel contesto di un'agricoltura urbana ben pianificata, diventa uno dei soggetti dominanti.
Studi effettuati sulla pianificazione del territorio, eseguiti da diversi assessorati di regioni italiane, hanno dimostrato la fattibilità di creare paesaggi nuovi legati al territorio stesso senza deturparne l'armonia e la funzione primaria nel pieno rispetto della biodiversità.
Credo che questo tema sia interessante da approfondire.
Nella pagina "Agricoltura urbana /Urban agriculture" in Facebook potete guardarvi il video scaricato da Youtube "Giardinieri planetari (orti collettivi a Chiasso)" creato con in contributo dell'architetto Sophie Agata Ambroise di Lugano ed inoltre, se disiderate una lettura interessante per un approccio all'argomento:

http://www.regione.emilia-romagna.it/paesaggi/AU.pdf
http://www.parconord.milano.it

Solo alcuni esempi di realtà vicine a noi, sia geograficamente sia culturalmente, che ci possono far riflettere e crerare  lo stimolo per scambiarci le diverse opinioni...la discussione è aperta.

Biodiversità

Definire la biodiversità in modo semplice e comprensivo dei suoi molteplici aspetti non è facile e una definizione rigorosa generalmente accettata finora manca. L'ecologo R.H. Whittaker (1972) si limita ad affermare che questo concetto si applica alla ricchezza in specie considerata a vari livelli, come la comunità, le aree studiate dal biogeografo, l'intera biosfera.
Con questo termine gli ecologi fanno riferimento alla molteplicità dei vari esseri attualmente viventi sul nostro pianeta, quale risultato dei complessi processi evolutivi della vita in più di tre miliardi di anni. Secondo Margalef (1968) l'ecosistema può esser considerato un messaggio trasmesso attraverso un certo canale con un codice adatto (nel senso della teoria dell'informazione) e la diversità risulta essere la misura del contenuto d'informazione di questo messaggio. Si tratta di una misura del numero degli elementi, collegata all'abbondanza o rarità di questi, e su tale principio sono stati proposti alcuni indici di diversità biologica.
Tuttavia la ricerca su questo argomento si è sviluppata soprattutto sulle relazioni tra il grado di maturità oppure di stabilità di ecosistemi e la diversità stessa, ammettendo che quest'ultima dipenda dalle relazioni tra i vari componenti del sistema, che tendono ad avere il carattere di vincolo o a costituire anelli di feedback.
In questo senso si tende a considerare la diversità come una misura della complessità del sistema, delle relazioni esistenti tra i vari componenti di un assortimento biologico e quindi della complessità di quest'ultimo.
Si tratta tuttavia di un concetto ancora insufficientemente chiarito, e che pertanto non può venire applicato acriticamente.
Bisogna tener presente il fatto che gli aspetti funzionali di un ecosistema possono venire espressi in maniera precisa, ad es. come scambi d'energia, mentre per la valutazione dei caratteri strutturali manca un sistema di riferimento chiaro ed univoco. Le misure di diversità cercano di riempire questa lacuna, almeno in parte.
Una moderna interpretazione, utile da un punto di vista operativo, è data da E.O. Wilson (1992), per il quale la biodiversità rappresenta "la varietà degli ecosistemi, che comprendono sia le comunità degli organismi viventi all'interno dei loro particolari habitat, sia le condizioni fisiche sotto cui essi vivono".
L'interesse per la biodiversità e per la sua tutela è così aumentato nel tempo da diventare una delle tre emergenze, a livello globale, individuate dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo sviluppo di Rio  de Janeiro del 1992.
Riteniamo che la  consapevolezza del valore intrinseco della diversità biologica e dei suoi componenti ecologici possa derivare da una sempre maggiore comprensione del "sistema ambiente" nella sua interezza, vale a dire dalla conoscenza della natura derivata da un approccio olistico in grado di coglierne sia gli aspetti strutturali, sia quelli funzionali, da cui far derivare le attività di conservazione ed uso sostenibile del patrimonio naturale, tenendo conto sia dello stato degli ecosistemi e delle loro variazioni, sia  delle politiche, dei piani e dei programmi settoriali e intersettoriali che governano la gestione del territorio.

Fonte: ISPRA

sabato 5 novembre 2011

Definiamo l'agricoltura urbana

Sono state elaborate numerose difinizioni dell'agricoltura urbana. Alcune di esse si concentrano sulla particolare localizzazione delle colture all'interno del territorio urbanizzato, altre si focalizzano sugli aspetti economici o sulla sicurezza  alimentare di un uso urbano diretto del cibo prodotto localmente. Tuttavia, l'aspetto che distingue l'aagricoltura urbana da quella rurale sta nel fatto che l'agricoltura urbana è parte integrante del processo ecologico dell'ecosistema urbano. Una difinizione proposta è quindi la seguente (Mougeot 2000).
" L'agricoltura urbana è un'industria localizzata entro (intraurbana) o al bordo (periurbana) di una città che coltiva o alleva o lavora e distribuisce una varietà di prodotti alimentari e non, (ri)utilizzando gran quantità di risorse umane e materiali, prodotti e servizi all'interno e intorno a quell'area e in cambio fornendo gran quantità di risorse umane e materiali, prodotti e servizi a quell'area"

Fonte: Sistemi alimentari e pianificazione urbanistica. Uno studio per l'agricoltura urbana a Bologna - Tesi di Laurea in Tecnica Urbanistica. Relatore Prof. Giovanni Virgilio